Parto con una grande premessa: probabilmente non conosci questo brano e probabilmente non l’avrai mai sentito in vita tua, ma d’altronde questo sarà il modo perfetto per viverlo per come si deve per la prima volta.
“Hideaway” è la terza canzone del primo album “In My Room” del britannico, il quale ha letteralmente registrato tutti i brani contenuti in esso nella sua stanza; racconterà in varie interviste come da questa stanza tutto nasce, si crea, si trasforma, si materializza, questo è il suo luogo sicuro e il luogo in cui, per lui, la musica ha modo di esprimersi senza limiti, confini, discriminazioni, semplicemente in pura libertà.
A mio parere infatti, “Hideaway” – che letteralmente significa “nascondiglio” o “rifugio” – racchiude in maniera più che eccellente tutto il concetto dell’album, della “sua stanza”, il suo luogo sicuro in cui sentirsi libero, e ce ne rendiamo meglio conto analizzando come la canzone è formata e cosa racconta il testo.
Il brano è diviso in tre strofe e uno special e non contiene alcun ritornello, eppure, ascoltando questi magnifici sei minuti e cinquantadue secondi, non se ne sente assolutamente la mancanza, perché le strofe contengono la stessa melodia che culla l’ascoltatore come in una sorta di ninna-nanna (passatemi il termine) con un clima in constante crescita e lo special, che si manifesta dopo due strofe, spezza un po’ questa “culla musicale”, la quale ritorna nell’ultima strofa, in cui tutto si conclude per come è cominciato.
Devo ammettere che mi sveglio ogni giorno con questa canzone e non importa che ci sia il sole o la pioggia, che sia triste o felice, che tutto vada bene o a rotoli, poiché il suono delle chitarre di questa “poesia musicale” risana tutto ciò che non va e illumina quello che mi fa stare già bene.
Prima di tutto, guardandolo un po’ in generale al testo, si può notare come ogni singola strofa finisca con “in my hideaway”, d’altronde la canzone descrive proprio cos’è il suo nascondiglio e cosa ci si può fare. Ma partiamo dall’inizio.
La prima strofa comincia con l’autore che descrive a una persona come nel suo nascondiglio il suo amore sia forte (“you know that my love is strong”) e di come sia sempre sveglio (“I will always stay wide awake”), così tanto da lasciare libera la persona a cui si sta rivolgendo e di portarlo ovunque quest’ultima voglia frugando “come la quiete dopo la tempesta” (“like the calm that follows storm”) nel suo nascondiglio per trovare ciò che il protagonista stava cercando (“find what I’ve been searching for”): ma di cosa si tratta? Beh, andiamo con calma, lo capiremo più avanti.
La seconda strofa esordisce con un sentimento più forte e invita implicitamente l’uditore a star vicino a lui e con lui, toccandolo come non ha mai amato prima (“touch me like I’ve never loved before”) nel suo nascondiglio e afferma che, qualora si fosse perso o sia “astray”, ovvero “fuori strada” o “fuori rotta”, qualora la sua meta non sia più precisa, comunque vadano le cose (“whichever way the wind may blow”), ci sarà sempre un luogo sicuro nel suo rifugio, un posto in cui salvarsi dalle tempeste, e lui n’è in rotta.
Lo special, come abbiamo visto prima, spezza l’equilibrio della canzone, eppure non distoglie mai lo sguardo da questo nascondiglio, e racconta in maniera geniale come, malgrado le cose possano andare male o sempre peggio, ci sia sempre uno spiraglio di luce che illumina «la diritta via ch’era smarrita», un punto di vista da cui guardare il mondo con occhi diversi e consiglia proprio questo, attraverso un’analogia, alla persona alla quale si rivolge: «Quando la pioggia cade, scagliandosi sul mare, segue quel fiume sino al profondo di me». Consiglia di non arrendersi quando si cade “precipitevolissimevolmente” giù sul mare e di percorrere quella corrente che conduce da lui, diciamo “la salvezza”, il punto vitale e, conseguentemente al nascondiglio.
E infine, a seguito di uno stacco musicale non indifferente, si ritorna solennemente alla melodia che conosciamo già, all’ultima strofa. Jacob chiede all’ascoltatore di lasciargli sentire il cielo e la luna (“let me feel the sky and feel the moon”), per ispirarsi e dedicare una melodia “onesta” al suo rifugio, confidando di trovare una casa in tutto ciò che incontra vagandoci dentro (“trusting wherever I go wandering, I’ll find a home in everything”). Dunque, invita ancora una volta, ma esplicitamente, la persona a cui si rivolge a rimanere nel suo nascondiglio, luogo in cui si incontreranno un giorno, in lontananza (“I will meet you here someday far away in my hideaway”), come dice Jacob.
Ritorniamo al concetto del nascondiglio e alla domanda iniziale: cosa dobbiamo trovare noi che ascoltiamo il brano? E cosa stava cercando? Beh, sembrerà banale o inaspettato – dipende dai punti di vista, suppongo – ma il cantautore si riferisce proprio a lui stesso. Ma in che senso Luca? Noi dobbiamo trovare lui? Esattamente, proprio così. Lui stava cercando sé stesso, il suo significato, banalmente stava esplorando la sua persona da tutti i punti di vista e chiede a tutti gli ascoltatori di trovare questo significato, probabilmente insieme a lui, così da incontrarsi un giorno nel suo rifugio, motivo per cui ci invita dolcemente. È bene notare infatti che il nascondiglio non è un singolo posto o un luogo preciso: “nascondiglio” non è altro che una parola che Jacob utilizza in maniera più che eccelsa per identificare uno stato d’animo in cui ci si può rifugiare, quindi un luogo non terreno, quindi un luogo estremamente calmo e personale, dove solo il vero amore e i propri princìpi possono raggiungerci lì dentro.
Pillola di Fede: Sembra esserci un collegamento tra il nascondiglio, ergo uno stato d’animo che dà vita ad un luogo personale e privato di calma e libertà (in cui rifugiarsi quando ne sentiamo la necessità), e Dio/Paradiso/preghiera, che assumono lo stesso effetto del nascondiglio. Essi diventano quindi frutto della nostra ricerca perché in essi troviamo il nostro vero sé, solo Dio può dirmi veramente chi sono perché solo Lui è capace di amarmi di un amore incondizionato che supera qualsiasi cosa.
Un collegamento doveroso va fatto anche con “l’amico dell’anima”, il quale si cura dell’ascoltatore, del cercare insieme te il tuo vero essere.
Luca Milazzo – Marsala