«Il mosaico dei nostri santi e beati, pur essendo abbastanza ricco quanto a rappresentatività -Fondatore, Cofondatrice, Rettori Maggiori, missionari, martiri, sacerdoti, giovani – era ancora privo del tassello prezioso della figura di un coadiutore. Ora anche questo si sta realizzando».
Così don Juan Edmundo Vecchi, ottavo Successore di Don Bosco, cominciava la sua lettera in occasione della beatificazione di Artemide Zatti.
Se al “mosaico dei nostri santi” mancava una tessera, oggi questo mosaico ha una lucentezza del tutto particolare perché, tra poche settimane, ci sarà dato di vivere un grande dono del Signore: vedere uno dei figli di Don Bosco, coadiutore salesiano, emigrato italiano in Argentina e infermiere, canonizzato da Papa Francesco il prossimo 9 ottobre 2022.
Artemide Zatti sarà, dunque, il primo santo salesiano non martire ad essere canonizzato. Senza dubbio la canonizzazione del primo santo salesiano e di un salesiano coadiutore dà e darà un tocco di completezza alla serie di modelli di spiritualità salesiana, che la Chiesa dichiara ufficialmente tali.
Riporto la bellissima testimonianza personale, piena di profondità spirituale e di fede, resa da Artemide Zatti nel 1915 a Viedma, in occasione dell’inaugurazione di un monumento funerario posto sulla tomba del Padre Evasio Garrone (1861-1911), salesiano missionario benemerito e considerato da Artemide insigne benefattore.
«Se io sto bene, sono sano e in condizione di fare un po’ di bene al mio prossimo infermo, lo debbo al Padre Garrone, Dottore, che vedendo peggiorare di giorno in giorno la mia salute, essendo io affetto da tubercolosi con frequenti emottisi, mi disse decisamente che, se non volevo finire come molti altri, facessi una promessa a Maria Ausiliatrice di rimanere sempre al fianco suo, aiutandolo nella cura degli infermi, che egli, confidando in Maria, m’avrebbe guarito.
CREDETTI, perché sapevo per fama che Maria Ausiliatrice lo aiutava in modo visibile.
PROMISI, perché sempre fu mio desiderio essere d’aiuto in qualcosa al mio prossimo.
E, avendo Dio ascoltato il suo servo, GUARII. [Firmato] Artemide Zatti».
Vediamo che la vita salesiana di Artemide Zatti, secondo questa testimonianza, si fonda su tre verbi che ne testimoniano la solidità generosa e confidente. Per valorizzare il dono della santità di questo grande salesiano coadiutore, vorremmo meditare su questi tre verbi e sui loro straordinari frutti di bene, perché tocchino in profondità i desideri, i sogni, gli impegni della nostra Congregazione e di ciascuno di noi e promuovano in tutti una rinnovata e feconda fedeltà al carisma di Don Bosco.
Profilo di Artemide Zatti
Artemide Zatti nasce a Boretto (Reggio Emilia) il 12 dicembre 1880 da Albina Vecchi e Luigi Zatti. La famiglia contadina lo educa ad una vita povera e laboriosa, illuminata da una fede semplice, schietta e robusta, che guida e nutre la vita.
A nove anni Artemide, per contribuire all’economia familiare, lavora come bracciante presso una famiglia benestante.
Nel 1897 gli Zatti emigrano in Argentina e si stabiliscono a Bahia Blanca. Artemide giunge in questa Città all’età di diciassette anni e nell’ambiente familiare impara presto ad affrontare le fatiche e le responsabilità del lavoro. Trova lavoro in una fabbrica di mattoni e, nello stesso tempo, coltiva e matura una profonda relazione con Dio, sotto la guida del salesiano don Carlo Cavalli, suo Parroco e Direttore spirituale. Artemide trova in lui un vero amico, un confessore saggio e un autentico ed esperto direttore spirituale, che lo forma al ritmo quotidiano della preghiera e alla vita sacramentale settimanale. Con don Cavalli stabilisce un rapporto spirituale e di collaborazione. Nella biblioteca del suo parroco ha la possibilità di leggere la biografia di Don Bosco e ne rimane affascinato. Fu il vero inizio della sua vocazione salesiana.
Nel 1900, ormai ventenne, Artemide, invitato da don Cavalli, chiede di entrare nell’aspirantato salesiano di Bernal, località vicina a Buenos Aires.
Nel 1902, ormai prossimo all’ingresso in noviziato, Artemide contrae però la tubercolosi. Racconta don Vecchi nella sua lettera: «Sicuri della sua responsabilità, i superiori gli affidarono l’assistenza di un giovane sacerdote malato di tubercolosi. Zatti svolse con generosità l’incarico, ma dopo denunziò la stessa malattia».
Gravemente malato, fa ritorno a Bahía Blanca e don Cavalli lo invia a Viedma, affidandolo alle cure del salesiano don Evasio Garrone, competente – grazie a lunga esperienza – nell’arte medica e direttore dell’ospedale San José fondato da mons. Cagliero.
Trovo molto significativo ricordare che Artemide a Viedma incontra Zefirino Namuncurá – oggi beato – proveniente da Buenos Aires e come lui affetto da tubercolosi. I due, pur con età diversa, vivono in cordiale amichevole rapporto, finché Zefferino parte nel 1904 per l’Italia con Mons. Giovanni Cagliero.
Dopo due anni di cure a Viedma con risultati insoddisfacenti, don Garrone invita Artemide a chiedere la guarigione per intercessione della Vergine Santa, facendo voto di dedicare tutta la vita alla cura dei malati. Formulato il voto con viva fede, Artemide ottiene la guarigione e, nel 1906, inizia il noviziato.
Per i rischi associati alla pregressa condizione di salute, Artemide deve rinunciare al proposito di diventare sacerdote e professa come coadiutore tra i Salesiani di Don Bosco l’11 gennaio 1908. Questo fatto comporta per Artemide una grande crescita nella fede. Infatti, egli non abbandona il desiderio di essere salesiano prete e continua a pensare alla vocazione sacerdotale nella Congregazione Salesiana, soprattutto quando la salute sembrava migliorare. Perciò «è commovente constatare l’attaccamento incrollabile alla propria vocazione, manifestato anche quando la malattia sembrava precludere assolutamente questo cammino. Leggiamo, ad esempio, quello che scrive ai suoi il 7 agosto 1902: “Vi fò sapere che non solo era mio desiderio, ma anche dei miei Superiori di mettermi il sacro abito; ma c’è un articolo della Santa Regola che dice di non poter ricevere l’abito uno che abbia la più piccola cosa rispetto alla salute. Così è che se Dio non mi trovò degno dell’abito finora, confido nelle vostre orazioni di sanare presto e così appagare i miei desideri”».
Ma alla fine i Superiori, date tutte le circostanze di malattia e anche l’età (23-24 anni) devono proporre a Zatti di professare come salesiano coadiutore. È certo che «era la donazione totale a Dio nella vita salesiana cui Artemide aspirava in primo luogo».
Anche su questo punto decisivo nella sua vita, Zatti compie un camino di maturità. Leggiamo ancora nella lettera di don Vecchi: «Sacerdote? Coadiutore? Diceva egli stesso ad un confratello: “Si può servire Dio sia come sacerdote sia come coadiutore: davanti a Dio una cosa vale tanto come l’altra, purché la si viva come una vocazione con amore”».
L’11 febbraio 1911 emette i voti perpetui e, nello stesso anno, dopo la morte di don Garrone, gli subentra, dapprima come incaricato della farmacia annessa all’ospedale San José di Viedma, e poi – dal 1915 – come responsabile dello stesso ospedale. Ospedale e farmacia diverranno il campo di lavoro di Artemide.
Così, dal 1915, per 25 anni, con grande energia, sacrificio e professionalità Zatti sarà l’anima dell’ospedale che però, nel 1941, dovrà essere demolito: i superiori salesiani decidono di utilizzare il terreno fino ad allora occupato dalla struttura sanitaria per la costruzione della sede vescovile. Artemide soffre intensamente al pensiero della demolizione, ma in spirito di obbedienza accetta la decisione e trasferisce gli ammalati negli ambienti della Scuola Agricola Sant’Isidro dove crea una nuova struttura per la cura e l’assistenza di infermi e poveri.
Dopo altri anni di intenso servizio, ormai esonerato dalle responsabilità dell’amministrazione sanitaria, nel 1950, a seguito di una caduta durante un lavoro di riparazione, gli esami clinici gli riscontrano un tumore al fegato per il quale sono vane le cure. Accoglie e vive con consapevolezza l’evoluzione della malattia. Di fatto, egli stesso prepara per il medico il certificato della propria morte! Non sono poche le sofferenze, ma trascorre gli ultimi mesi nell’attesa del momento finale preparato per l’incontro con il Signore. Lui stesso dice: «Cinquant’anni fa sono venuto qui per morire e sono arrivato fino a questo momento, che cosa posso desiderare di più? D’altra parte, ho trascorso tutta la vita preparandomi per questo momento…».
La morte sopravviene il 15 marzo 1951 e la diffusione della notizia mobilita la popolazione di tutta Viedma per un tributo di gratitudine a questo salesiano che ha dedicato l’intera vita ai malati, soprattutto più poveri. Di fatto, «tutta Viedma salutò il “parente di tutti i poveri”, come lo chiamavano da tempo; colui che era sempre disponibile per accogliere i malati speciali e la gente che veniva dalla lontana campagna; colui che poteva entrare nella più ambigua delle case a qualsiasi ora del giorno o della notte, senza che alcuno potesse insinuare il minimo sospetto su di lui; colui che, pur essendo sempre “in rosso”, aveva mantenuto un rapporto singolare con le istituzioni finanziarie della città, sempre aperte all’amicizia ed alla collaborazione generosa con coloro che componevano il corpo medico della cittadina».
I funerali, con l’imponente afflusso di popolo, confermano la fama di santità che circonda Artemide Zatti e che sollecita l’apertura a Viedma del processo diocesano (22 marzo 1980). Il 7 luglio 1997 Zatti viene dichiarato Venerabile e il 14 aprile 2002 è proclamato Beato da San Giovanni Paolo II.
La pedagogia di Dio nei suoi santi
Per accostare la figura di Artemide Zatti è preziosa la guida di un principio teologico, denso di significato e ripetuto da Hans Urs von Balthasar:
«Soltanto l’immagine [di Gesù] che lo Spirito presenta alla Chiesa ha saputo, lungo millenni di storia, trasformare uomini peccatori in santi. Proprio in base a questo criterio della potenza di trasformazione si dovrebbe misurare il valore di un’interpretazione di Gesù che pretenda trasmetterci una conoscenza di Lui».
Con queste parole, Balthasar rimarca un’evidenza che ha sempre accompagnato la storia della Chiesa: l’azione dello Spirito si manifesta come potenza di trasformazione della vita umana, a testimonianza della perenne attualità e vitalità del Vangelo. In questo modo la buona notizia di Gesù continua a vivere e diffondersi secondo la regola dell’Incarnazione e, specie nella carne e nella vita dei santi, per il loro profondo consentire allo Spirito, la Pasqua sfolgora nell’attualità storica di qui ed ora sempre nuovi, ove maturano prodigi che confermano la fede della Chiesa.
I santi sono allora realizzazioni dello Spirito che offrono, con la semplicità di una vita trasfigurata, lineamenti precisi del Figlio, donati dal Padre alla fatica del mondo, nell’attualità di un tempo e nella prossimità di luoghi bisognosi di salvezza e di speranza.
Se Dio guida la sua Chiesa attraverso la vita obbediente dei suoi figli più docili e audaci, nella storia di ciascuno di loro devono anzitutto brillare riflessi di Vangelo che trasformano una feriale biografia in agiografia e poi si debbono riconoscere semi pasquali, capaci di innescare rinnovati cammini ecclesiali nel popolo di Dio.
Artemide Zatti conferma questa regola della santità: l’agiografia è luce dello Spirito sprigionata dalla semplicità della sua biografia, tanto convincente perché abitata in pienezza d’umanità, e tanto sorprendente da rendere visibili «un nuovo cielo e una nuova terra» (Ap 21,1); così i semi pasquali, regalati dalla vita di questo salesiano coadiutore al campo del mondo, hanno trasformato luoghi di sofferenza – gli ospedali di San José e di Sant’Isidro – in vivai della speranza cristiana straordinariamente irradianti. «Si è trattato di un’attiva presenza nel sociale, tutta animata dalla carità di Cristo che lo spingeva interiormente».
È possibile allora meditare sul dono che lo Spirito fa al mondo, alla Chiesa, alla Famiglia Salesiana con la santità di Zatti, sostando dapprima sulla luminosità della sua biografia – un Vangelo, pienamente incarnato, della vocazione, della confidenza e della dedizione – per considerare poi la forza pasquale del suo apostolato che ha edificato, nei suoi ospedali, la chiesa della cura, della prossimità, della salvezza, della corredenzione, per nutrire la fede del popolo di Dio.
Se vogliamo esprimere in modo sintetico il segreto che ha ispirato e guidato la vita, i passi, i lavori, gli impegni, la gioia, le lacrime…, di Artemide Zatti, le parole di don Vecchi a tale fine sono esaustive: «Al seguito di Gesù, con Don Bosco e come Don Bosco, dovunque e sempre».
1. UN UOMO DI VANGELO
1.1 Il Vangelo della vocazione: «Credetti»
La vicenda di Artemide Zatti colpisce anzitutto per la sua particolarità vocazionale. Una vocazione luminosa perché purificata da una misteriosa pedagogia di Dio che si dispiega nella sua vita attraverso mediazioni e situazioni diverse e impegnative. La vita cristiana è il respiro condiviso della famiglia di Artemide, che tutto legge nella luce del mistero di Dio; sarà la seconda patria argentina, raggiunta con l’emigrazione, a mostrare il radicamento degli Zatti in una fede non comune. Il Card. Cagliero scrive:
«I nostri compatrioti, anche quelli che appartengono alle popolazioni più religiose d’Italia, giunti qui pare che mutino natura. L’amore smodato al lavoro, l’indifferenza religiosa dominante in quei paesi, i pessimi esempi frequentissimi […] operano un’incredibile trasformazione nello spirito e nel cuore dei nostri buoni contadini ed artigiani, che in cambio di qualche scudo che guadagnano, perdono la fede, la moralità, la religione».
La famiglia Zatti non cederà all’influsso dell’ambiente, segnalandosi al contrario per una pratica religiosa fervente, schietta, coraggiosa, libera dal rispetto umano; e Artemide continuerà a nutrire in famiglia un intenso rapporto con Dio, sostanziato di preghiera, laboriosità, rettitudine, così
«tutto fa credere […] che la formazione religiosa che il Servo di Dio ricevette da fanciullo e nella prima giovinezza […] dovette essere privilegiata e tale da spiegare gli atteggiamenti spirituali che egli mantenne poi per tutta la vita».
L’esperienza di Artemide riflette la discrezione luminosa della «“misura alta” della vita cristiana ordinaria» (Novo Millennio ineunte, 31) frutto di un esclusivo radicamento in Dio, di una fede vissuta come obbedienza coraggiosa e irraggiante perché libera, lieta e feconda.
Quando il salesiano don Cavalli, parroco e guida di Artemide sui sentieri dello Spirito, dovrà sostenerne l’orientamento definitivo di vita, il discernimento sarà sobrio e limpido: constaterà che la chiamata a darsi a Dio totalmente, come sacerdote, risuona nel cuore di quel giovane in modo integro e puro, non contaminata dalla ricerca di sé e del proprio interesse, ma accesa dal desiderio di servire il Vangelo del Regno.
E Dio, per la singolare disponibilità di Artemide al dono di sé, non si limita a chiamare, ma può dilagare, con il segno incontrovertibile della sua presenza: la croce del Figlio. Così proprio al cuore del discernimento vocazionale di questo giovane desideroso di diventare sacerdote si rende riconoscibile il sigillo della predilezione di Dio: Artemide, accolto a Bernal come aspirante, viene richiesto di un servizio rischioso, la cura di un sacerdote malato di tubercolosi – come ricordato in precedenza. Il servizio senza calcolo porta Artemide a contrarre a propria volta la malattia che esigerà il sacrificio del sogno vocazionale: Zatti sarà salesiano, ma non sacerdote.
Qui riconosciamo la potenza del Vangelo accolta senza condizioni nella vita dei santi; una potenza che suscita una risposta vocazionale pura perché custodita da un cuore non solo distaccato dal male – condizione essenziale per l’ascolto della voce di Dio – ma capace di libertà anche rispetto al bene, condizione essenziale di una fede rocciosa nell’Assoluto di Dio.
Camminando nell’oscurità luminosa della fede, Artemide sacrifica il desiderio di servire la Chiesa nella forma ministeriale del sacerdozio, abbracciandone però l’essenza, secondo Cristo, «il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì sé stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,14).
I caratteri del vangelo della vocazione si riconoscono così, indelebili, nella pienezza del sacrificio di sé che sigilla il principio della vita salesiana di Zatti ben prima di coronarne la pienezza.
E la fedeltà alla forma laicale della vita salesiana, abbracciata per puro amore di Dio, sarà piena e convinta, lontana da ogni rammarico, dispiegata in un’esistenza convincente e contenta.
Questo è il vangelo della vocazione, la buona notizia della chiamata di Dio riservata singolarmente a ciascuno dei suoi figli, chiamata della quale Dio solo conosce la portata, le ragioni, la destinazione, lo svolgimento concreto. Chiamata che si rende percepibile solo nella corrispondenza pura dell’amore che, a propria volta «vuole disfarsi dell’avversario più pericoloso: la propria libertà di scelta. Ogni vero amore ha perciò la forma interna del voto: esso si lega all’amato, a motivo dell’amore e nello spirito dell’amore».
Il vangelo della vocazione, nella santità di Zatti, è il vangelo della pura fede: la buona notizia del respiro sano del cuore che assapora la libertà nell’obbedienza al disegno di Dio, custode del mistero di ogni vita chiamata ad essere tralcio fecondo della vera Vite, affidata alla sapienza dell’«Agricoltore» (Gv 15,1).
Letta con le “categorie” del nostro tempo, la santità di Artemide Zatti sfida la “paura vocazionale”, paura che stringe il cuore nella sfiducia davanti al mistero di Dio. Il vangelo della vocazione annunciato dalla vita di questo santo salesiano coadiutore mostra che solo corrispondendo al sogno di Dio è possibile, ad ogni età e in ogni situazione, sconfiggere la paralisi dell’io, con la povertà del suo sguardo e delle sue misure, con l’angustia della sua incertezza e del suo timore.
Quando don Garrone – salesiano a propria volta di eminente virtù, oltre che di grande competenza medica, acquisita attraverso il servizio generoso ai malati – esorta Artemide malato di tubercolosi a chiedere la grazia della guarigione per intercessione della Vergine e con il voto di dedicarsi per tutta la vita ai malati, la fede di Zatti dà buona prova di sé: semplice, disinteressata, senza riserve, racchiusa in una parola: “Credetti!”.
“Credetti”, ovvero quando basta una parola a dire la fede, perché la fede è pura; e solo questa fede è vocazionalmente generosa, per la levità della sua purezza che “mette ali al cuore e non catene ai piedi”.
La santità di Artemide Zatti raggiunge i nostri cammini vocazionali, talvolta stanchi e grevi, con la forza dirompente di un «credetti» che non è mai venuto meno: il presente della fede che si fa continuo lungo la vita e la rende credibile. La sua è stata una fede con una continua unione con Dio. Nelle testimonianze raccolte così si esprimeva Mons. M. Pérez: «L’impressione che io ricevetti fu quella di un uomo unito al Signore. L’orazione era come il respiro della sua anima, tutto il suo comportamento dimostrava che viveva pienamente il primo comandamento di Dio: lo amava con tutto il cuore, con tutta la sua mente e con tutta la sua anima».
Siamo chiamati a valorizzare la testimonianza di Zatti per rinnovare l’ardore della nostra pastorale vocazionale e per offrire ai giovani l’esempio di una vita che la solidità della fede rende piena, semplice, coraggiosa, per la potenza dello Spirito e la docilità del chiamato.
1.2 Il Vangelo della confidenza: «Promisi»
Il Vangelo della vocazione, del quale Zatti è testimone, anima un secondo verbo di importanza fondamentale: promettere.
Delle promesse umane oggi si sperimenta spesso la debolezza, si teme l’inaffidabilità, si constata l’incapacità ad essere definitive: di qui gli inverni vocazionali che stanno colpendo la famiglia, le Congregazione in molte parti del mondo, la Chiesa, e che rendono urgente l’annuncio del vangelo della chiamata di Dio e della risposta del credente.
Von Balthasar, riflettendo sull’essenza della vocazione, frutto di un credere autentico, così scrive: «Non c’è nessun camminare incontro all’amore senza almeno un accenno di questo gesto di consegna. […] [L’amore] vuole definitivamente rimettersi, consegnarsi, affidarsi, racchiudersi. Vuole depositare presso l’amato una volta per tutte la sua libertà di circolazione, per lasciargli un pegno d’amore. Appena l’amore si desta veramente alla vita, l’attimo temporale vuole essere superato in una forma di eternità. Amore a tempo, amore ad interruzione non è mai vero amore».
Artemide Zatti, pur in giovane età e proprio in un grande momento di prova, sente la chiamata alla pienezza dell’impegno di sé in una promessa irrevocabile e radicale; quando in età matura, testimoniando la sua gratitudine verso il Padre Evasio Garrone, suo benefattore, rievocherà i primordi del proprio cammino di consacrazione, Zatti potrà essere lapidario nel presentare il cuore della sua adesione giovanile alla chiamata del Signore: «credetti, promisi».
Il “promisi” di Zatti segue il suo “credetti” ma anche ne plasma la radicalità e la qualità umana e cristiana. Artemide crede perché promette e non solo promette perché crede: in lui vediamo realizzata la regola della fede che, se non può contare sulla disponibilità alla promessa, alla consegna di sé, decade ad interesse spirituale, a previdenza e contratto religioso.
Zatti non attende garanzie per dedicare rischiosamente la sua vita, non chiede di riscuotere il diritto al “centuplo quaggiù” come condizione previa al suo gettare le reti; piuttosto «si offerse con pronta disponibilità ad assistere un sacerdote malato di tisi e ne contrasse il male: non disse una parola di lamento, accolse la malattia come dono di Dio e ne portò con fortezza e serenità le conseguenze».
Così la generosità di Artemide, è pagata prima ancora della professione religiosa, e il prezzo è alto: una malattia debilitante, un sogno vocazionale infranto, una sofferenza acuta, e – soprattutto – una totale incertezza. Ma al crocevia di fede e promessa il vangelo della vocazione realizza in questa vita, sin dalla giovinezza, prodigi di santità.
La promessa di Zatti è pura, disinteressata, come la sua fede e fa brillare l’integrità dell’abbandono al disegno di Dio e la generosità del dono e dell’impegno di sé che mostrano autentico spessore teologale: Artemide fa sua la vita del Figlio obbediente che si lascia totalmente decidere e destinare dall’amore del Padre per la salvezza del mondo.
L’alfabeto vocazionale di Zatti è tanto profondo quanto semplice e chiaro: «Credetti, promisi. Zatti crede e promette con radicalità evangelica perché già ha praticato la Passione del Signore quale regola della sua fede e della sua dedizione, come non si stanca di ripetere nelle sue lettere ai familiari: “Le nostre gioie sono le croci, il nostro conforto è il patire, la nostra vita sono le lacrime, ma con a fianco la sempre cara e inseparabile compagna, la speranza di raggiungere al bel paradiso, quando sarà compiuto il nostro pellegrinaggio in terra”».
La croce è la regola della fede, e insegna come il credere cristiano non sia un semplice conoscere qualcosa, ma affidarsi a Qualcuno promettendoGli non qualcosa, ma se stessi. Formato dalla croce Artemide prima ancora di intraprendere il cammino della vita religiosa, non promette ma si promette, non fa voto, si vota, e così riflette i lineamenti del Figlio che «entrando nel mondo, […] dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb 10, 5-7).
E, sempre alla scuola del Signore Gesù, Zatti impara che alla radicalità della promessa di sé corrisponde l’audacia crescente della fede. Chi si dà completamente a Dio può abbandonarsi alla certezza di ricevere tutto da Lui, e Artemide non si stanca di ricordarlo nelle sue lettere: «Mi raccomando che non abbiate paura o vergogna di domandare grazie. Domandate pure ed otterrete; e più domandate, più otterrete; poiché chi domanda molto riceve molto, chi poco, riceve poco; e chi niente domanda, nulla riceve. […] Io non starò lì a enumerare le grazie che dovete chiedere; ben voi lo sapete. Solo vi metto sotto gli occhi una: ed è quella, che noi tutti possiamo amare e servire Dio in questo mondo e poi goderlo nell’altro».
1.3 Il Vangelo della dedizione: «Guarii»
«Guarii» è il verbo con il quale Zatti sigilla l’evento che lo introduce nella vita salesiana.
Cosa significa «Guarii»? Certamente la tubercolosi che ne aveva minato la salute fu superata da Zatti e in un modo che sorprese i medici: «Nel processo di Viedma il Tribunale si domanda se la guarigione fu miracolosa. A quanto ci è dato sapere, mancò per qualificarla tale la istantaneità, ma, a detta dei dottori […] che conobbero bene Zatti fino alla sua morte, fu straordinaria per la scarsezza e la poca efficacia delle cure di allora, per la continuità della guarigione e per la più che normale robustezza fisica di cui godette poi sempre il Servo di Dio, nonostante la sua vita di strapazzo. L’intervento della Madonna sembra innegabile, sia che si trattasse di miracolo sia che fosse grazia straordinaria».
Il dito di Dio però agì secondo il suo stile inconfondibile: non estirpò il male riportando la vita di Artemide alle condizioni previe alla malattia, e neppure dipanò il mistero tipico di ogni disegno divino e di ogni esistenza umana. Così, come sappiamo, «i Superiori, pur constatando i miglioramenti della salute del Servo di Dio, non dovettero essere pienamente persuasi sulle sue future possibilità. La tubercolosi, a quei tempi, non dava mai sicurezza di guarigione e di guarigione definitiva; il curriculum di studi che il Servo di Dio avrebbe dovuto affrontare, alla sua età (23-24 anni), era ancora lungo e non certo adatto ad un tubercolotico; egli, d’altra parte, aveva già incominciato a lavorare, e tutto fa credere con successo e con reciproca soddisfazione, nella Farmacia in una occupazione adatta ad un laico; forse Padre Garrone faceva qualche pressione per tenerlo con sé nel suo lavoro. I Superiori allora, date tutte queste circostanze, dovettero proporre al Servo di Dio – che certamente, da tutto quello che appare nei suoi scritti, aveva deciso di lasciare il mondo e di consacrarsi a Dio – di farsi religioso salesiano, ma come coadiutore (confratello laico): la soluzione sembrava la più prudente in vista della sua ancora incerta salute: un lavoro materiale richiedeva meno sforzi di quanti non se ne esigessero per un lungo periodo di studi severi».
Il mistero di Dio si infittisce con la guarigione, e alla fede di Artemide viene chiesta una purificazione forse più severa di quella imposta dalla perdita della salute: il sacrificio dell’orientamento vocazionale. Così Artemide è condotto ad approfondire il cammino di svuotamento che Dio gli richiede: la liberazione dalla malattia non è una riconquista di forze, che permette a un giovane intraprendente di “riprendere in mano la vita”. La guarigione, a suo modo, è il deserto di una nuova povertà, perché la vita di Zatti sia spazio libero per Dio, nella radicalità di un nuovo abbandono.
Dio guarisce Artemide dalla tubercolosi per rinnovare in lui il prodigio della salvezza dall’attaccamento a se stesso, del distacco anche dai propri progetti di bene: «C’è da ritenere che abbandonare l’aspirazione al sacerdozio sia stata per il Servo di Dio una grande sofferenza spirituale, tanto era lo slancio e lo spirito di sacrificio con cui aveva intrapreso il cammino verso questa meta. È però meraviglioso, e indice di straordinaria forza spirituale, il fatto che non appaia mai una parola di lamento od anche solo di rammarico e nostalgia […] per questo capovolgimento nella prospettiva della sua vita».
«Guarii»: è allora la voce della coerenza dell’alfabeto vocazionale di Zatti. Quando Dio chiama e la sua creatura risponde, lo Spirito non si limita a riparare la precarietà umana ma compie il sogno di Dio «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Così, se la malattia inclina il cuore umano a ripiegarsi su di sé, il credere e il promettere di Zatti, nutriti dall’amore al Signore Gesù e alla Croce, producono vera salute: una più grande dimenticanza di sé e condiscendenza incondizionata a Dio, che lo porta ad essere l’umile apostolo dei più poveri, dei malati e, tra questi, a diventare l’apostolo dei casi più particolari; in breve, degli abbandonati e degli scartati di questo mondo.
Artemide rinato a più grande povertà è più arreso, in confidenza piena e operosa, al disegno del Padre: «Ex auditu posso dire che [nella vita del Servo di Dio] c’è stata una volontà generale che Dio fosse glorificato. In quel che lo conobbi posso assicurare che vivesse per la gloria di Dio».
La subordinazione di tutto alla gloria di Dio e il sacrificio delle proprie vedute – compresi i progetti di bene – per assecondare la sapienza di Dio che sola realizza la pienezza dell’Amore, saranno essenziali non solo all’esperienza spirituale di questo salesiano straordinario, ma pure alla pedagogia del dolore che dovrà praticare per la specificità della sua missione.
Nel “guarii” di Zatti si compie non solo una grazia ma una scuola, ed entrambe plasmate dal dito di Dio per il bene dei fratelli: libero dalla malattia Artemide servirà per una vita i malati, dopo essere passato attraverso il vero guarire che lo renderà vero medicodelle creature sulle quali si chinerà.
«Faceva spesso il segno della Santa Croce e lo faceva fare agli infermi, amava insegnarlo ai bambini. In lui la fede e i medicamenti formavano una simbiosi, senza la fede non curava e nemmeno senza medicine. Ugualmente non vedeva una dicotomia tra l’anima e il corpo; era una sola cosa l’uomo, e curava questo uomo: corpo e anima».
Solo perché condotto dalla mano di Dio a vivere il guarire come morire a se stesso Zatti potrà farsi prossimo ai malati con il farmaco dell’Amore Incarnato e Crocifisso, dispensando conforto, luce e speranza.
2. UN TESTIMONE DELLA PASQUA
Se nella vita di Zatti – per il modo in cui fu raggiunto dalla chiamata di Dio – brilla in forma originale e attualissima il Vangelo della vocazione, la sua semina apostolica si compie come arte della cura nella luce della Pasqua.
La coerenza pasquale è la regola di fedeltà di ogni apostolato cristiano: nei santi la pratica di questa regola raggiunge il fulgore, portando la vita di Dio dentro le fatiche degli uomini, della storia, del mondo, edificando così la Chiesa.
Zatti ha praticato con passione pasquale la fatica della sofferenza umana ed ha così edificato la Chiesa come vero ospedale da campo (come oggi continua a ripetere Papa Francesco), proprio trasformando due ospedali sorti “alla fine del mondo” in cellule vive della Chiesa.
Gli ospedali di San José prima e poi di Sant’Isidro furono tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento una risorsa sanitaria preziosa e unica per la cura soprattutto dei poveri di Viedma e della regione del Rio Negro: l’eroismo di Zatti ne fece luoghi di irradiazione dell’amore di Dio dove la cura della salute diventa esperienza di salvezza.
Zatti ha consegnato la sua vita alla parabola del buon Samaritano. Il Samaritano è Cristo, il Dio vicino (nel suo Figlio Amato) che non conosce indifferenza e disprezzo, ma offre se stesso, in anticipo, per guarire fin l’ultimo dei suoi figli e figlie, per mezzo della prossimità dell’amore, così che il male della storia non condanni nessuno di questi piccoli a perire fuori da Gerusalemme.
Ecco il miracolo di Dio: in quel fazzoletto di terra patagonica, dove scorre la vita di Zatti, ha preso vita una pagina del Vangelo. Il Buon Samaritano ha trovato volto, mani e passione, anzitutto per i piccoli, i poveri, i peccatori, gli ultimi. Così un ospedale è diventato la Locanda del Padre, è diventato segno di una Chiesa che voleva essere ricca di doni di umanità e di Grazia, attraverso la donazione, il servizio, e la fedeltà al comandamento dell’amore di Dio e del fratello.
Sono numerosi i testimoni che permettono di contemplare l’esperienza di Chiesa accessibile in quell’ospedale da campo reso vivo dal cuore infiammato di Zatti: dando loro la parola emerge di nuovo il fascino di Artemide preoccupato di curare quanti a lui si affidavano, sia con i rimedi dell’arte medica, sia con la presenza, la simpatia, la preghiera per tutti e con tutti, e con l’espressione di fede di tutti giorni di questo umile salesiano. Tutto questo si rivelò certamente più efficace di tante medicine.
2.1. Cura pasquale e servizio (diakonia) della vita ferita
Dove c’è santità la Chiesa si diffonde, e dove si edifica la Chiesa c’è santità. Chi ha incontrato Zatti, chi è stato accolto nel suo ospedale, ha fatto esperienza di fraternità e in questa fraternità esperienza di Chiesa.
Zatti ha vissuto con radicalità evangelica la certezza che il servizio, che è stata la sua caratteristica vocazionale – la diakonia – rende credibile, riconoscibile, amabile, il volto della Chiesa. La porta del servizio attrae il cuore umano, specie quando è provato dalla vita e dalla sofferenza, e apre all’esperienza dell’incontro con Gesù, il vero Buon Samaritano, e Zatti ha fatto del suo meglio per vivere come un buon samaritano. «L’ospedale e le case dei poveri, visitati notte e giorno viaggiando su una bicicletta, considerata ormai elemento storico della città di Viedma, furono la frontiera della sua missione. Visse la donazione totale di sé a Dio e la consacrazione di tutte le sue forze al bene del prossimo».
Zatti è testimone di servizio, e così come Gesù ha donato se stesso sino alla fine, Zatti ha realizzato fino all’eroismo, sui passi del suo Signore, una donazione e una diakonia pienamente cristiana. Meritano di essere sottolineati, con le parole unanimi dei testimoni, i caratteri straordinari della diakonia evangelica di Zatti: l’universalità della sua dedicazione, la totalità del dono di sé, la generosità nata con Dio accanto, in obbedienza a Lui, compiuta in Lui e per Lui.
Che il servizio di Zatti non conoscesse particolarismi e non facesse preferenza di persone è sotto gli occhi di quanti lo hanno conosciuto: «So che ha visitato la prigione per curare i malati. Con gli increduli e i nemici della Chiesa era disponibile e amabile. Ricordo la frase di un medico che commentando il titolo del libro del Padre Entraigas “Il parente di tutti i poveri” diceva che avrebbe dovuto essere corretto in “parente di tutti” per l’equità con la quale [Zatti] non faceva distinzione tra tutti quelli che lo cercavano».
Se nel servizio e nella donazione di se stesso da parte di Zatti c’era una preferenza per qualcuno, questa era la preferenza insegnata dal Buon Pastore, sensibile soprattutto alla sorte delle pecore più ferite e smarrite: «Fu una delle predilezioni [di Zatti] la sua totale donazione a Dio in queste persone umili, indifese o con infermità ripugnanti a tal punto che quando qualcuno voleva mandarle a un ospizio perché erano state molti anni nell’Ospedale San José rispondeva che non si dovevano abbandonare questi veri parafulmini dell’Ospedale».
Zatti poi serviva con tutto se stesso, consumandosi in una generosità senza calcolo nelle forme più disparate di un’attività febbrile, orientata soltanto a corrispondere alle richieste di tutti: «Siccome era a tutti nota la sua bontà e la sua buona volontà nel servire gli altri, tutti si rivolgevano a lui per le cose più disparate. […] I direttori delle Case dell’Ispettoria scrivevano per consigli medici, gli mandavano confratelli da assistere, affidavano al suo ospedale-cronicario persone di servizio diventate inabili. Le Figlie di Maria Ausiliatrice non erano da meno dei Salesiani nel chiedere favori. Gli emigranti italiani chiedevano aiuti, facevano scrivere in Italia, sollecitavano pratiche, coloro che erano stati ben curati all’Ospedale, quasi fosse espressione di gratitudine, gli inviavano parenti e amici da assistere per la stima che avevano delle sue cure. Le autorità civili avevano spesso persone inabili da sistemare e ricorrevano a Zatti. I carcerati e altre persone, vedendolo in buoni rapporti con le autorità, si raccomandavano perché chiedesse clemenza per loro o facesse procedere la soluzione dei loro problemi».
Il servizio di Zatti era poi continuativo e dimentico di sé e, proprio per questo, non frenato da suscettibilità, ingratitudini, corrispondenze mancate o richieste assillanti: «Nel servo di Dio la preoccupazione per il prossimo era straordinaria nel lavoro quotidiano; dalla mattina alla sera viveva per i suoi amati infermi. Queste circostanze si moltiplicavano la notte, quando, a qualunque ora lo chiamassero, egli accorreva rapidamente. […] Mi consta che spesso abbia dovuto soffrire di pretese eccessive di alcuni infermi, esigenze smodate, capricci, come il caso […] di pazienti con infermità mentali. Il Servo di Dio non perdeva mai la pazienza. Ricordo di averlo visto in più di una occasione salire con cattivo tempo, freddo e pioggia con il suo veicolo, una bicicletta non ultimo modello, per curare infermi tra la popolazione andando per strade molto poco transitabili».
A segnare poi profondamente la diakonia, il servizio a tutti, di Zatti era il suo svolgersi in compagnia del Signore. A nessuno sfuggiva la competenza di questo generoso infermiere, ma altrettanto evidente era il suo essere in missione con Gesù: «Un fatto personale molto concreto: essendo io novizio e poi sacerdote novello, venni a Viedma per alcune pustole che mi uscivano soprattutto sul collo e sulla faccia e il Servo di Dio sempre mi accoglieva sorridente, mi curava cauterizzandomi con una punta rovente canticchiando il Magnificat mentre operava e incoraggiandomi poi a offrire quelle sofferenze per la santa perseveranza nella vocazione».
Ancora, in Zatti rifulgeva l’obbedienza a Dio e al suo disegno come anima di un servizio umile e fiducioso, che doveva ispirare nei poveri e nei malati sentimenti di abbandono in Dio. Tutto trovava in Dio ispirazione, e tutto Zatti svolgeva secondo il comando di Dio, così che il servizio di questo grande salesiano era una pratica continua e affascinante del precetto dell’amore: egli «amò Dio sopra ogni cosa. Per lui tutte le cose di questa terra erano transitorie e secondarie. Per me Zatti era costante, senza cedimenti nel suo amore a Dio e nella sua pietà. Non solo negli atti di pietà ma in ogni servizio al prossimo teneva sempre il nome di Dio sulla bocca. Esortò tutti coloro che gli furono vicini a vivere la pietà. Zatti era permanentemente un esempio, la sua pietà era superiore all’ordinario».
Quella di Zatti però, come accade sempre nei santi, è una diakonia, un servizio compiuto certo in obbedienza a Dio, ma soprattutto in nome di Dio, prestando a Dio il volto, il cuore, le mani, nella certezza – fonte di grande audacia – di essere piccolo strumento della sua grande Potenza e Provvidenza. Così Zatti opera con generosità straordinaria, ma con abbandono totale perché sa che ad agire, in lui, è il suo Signore: «Sperò e confidò sempre in Dio. La serenità con la quale superava le difficoltà era una dimostrazione della sua speranza in Dio. Sempre diceva: “Dio provvederà”, però lo diceva con piena confidenza e speranza».
Zatti, credente e uomo vero, è «mosso dalla carità verso il prossimo perché in ogni malato vedeva Cristo sofferente. Tanta era la bontà che usava con gli infermi che non negava loro nulla»; «per il Servo di Dio l’amore si manifestava nella carità con la quale assisteva gli “altri Cristi”. Nella sua concezione evangelica che tutto quello che faranno i suoi discepoli al loro prossimo lo staranno facendo allo stesso Cristo, il Servo di Dio si comportò abitualmente con tutti con carità, anche quando si trattava di increduli o indifferenti».
O vivendo in uscita una Chiesa del servizio, capace di raggiungere in bicicletta i suoi poveri, o servendo quanti bussavano al suo ospedale – di San José prima e di sant’Isidro poi – perché vi incontrassero l’amore di Dio Zatti ha dato tutto se stesso a Dio, divenendo servo del Signore, missionario autentico della Chiesa nel nome del Signore Gesù.
2.2 Fraternità pasquale e comunione (koinonia) nella vita condivisa
La santità di Zatti ci porta nel cuore della Chiesa non solo per la singolarità della sua diakonia, ma anche per la qualità della comunione fiorita per il suo donarsi agli altri. Cosa fosse per Zatti la comunione è attestato tanto dalle testimonianze di chi ne ha visto l’azione, quanto dal modo in cui attraversò i momenti più faticosi che ne segnarono la vita.
Un fatto per lui particolarmente doloroso si verificò quando i superiori si orientarono per la demolizione dell’Ospedale di San José, al quale Artemide aveva consacrato ogni energia; a Viedma mancavano gli ambienti per l’episcopio e per edificare una confacente dimora vescovile fu deciso l’abbattimento del vecchio ospedale, con l’onere del trasferimento di tutti i servizi sanitari negli spazi della Scuola agricola di Sant’Isidro, sede di un’altra opera salesiana a Viedma.
Per Zatti la demolizione non era una semplice operazione edile, era una prova cruda e crocifiggente: davanti agli occhi non aveva solo le macerie di un vecchio ospedale, ma il dubbio che con quelle mura fosse crollata la sua vita e lì fossero finite anche le sue rinunce e privazioni, incomprensioni e veglie, grattacapi e sudori, dedizione agli altri e sacrificio di sé. A Zatti il calice non fu risparmiato, ma rimase in piedi, con fortezza e dolcezza cristiana: «All’epoca della demolizione dell’ospedale san José aveva prima proposto che il palazzo vescovile fosse costruito in altro luogo e il terreno fosse permutato; poi, data l’inesorabilità della demolizione, che […] sentiva enormemente data la sua estrema sensibilità umana, non si ribellò né protestò; anzi, calmava coloro che cercavano di farlo ribellare».
Come sempre accade nella vita dei santi, la prova è insieme crogiolo oscuro e dimostrazione luminosa: Zatti con la sua serenità d’animo e con l’alacrità posta nell’allestire la nuova sede dei servizi sanitari, dimostrò quale fosse il fondamento della sua dedizione: il vero ospedale da lui edificato non poteva essere ridotto in macerie perché era un’invenzione della carità, di quella carità che «non avrà mai fine» (1Cor 13,8), e che esprime il miracolo della comunione, riflesso dell’eterna Vita di Dio. Il vero ospedale di Zatti non era un edificio terreno, dedicato a San José o a Sant’Isidro; in quegli ambienti la sua professionalità accoglieva tutti, attraverso la porta del servizio, perché facessero però esperienza vera e piena della tenerezza di Dio.
Zatti non ha predicato il catechismo della comunione, ma con la sua santità lo ha incarnato; e il suo ospedale non era un fabbricato imponente, ma un miracolo evidente, quotidiano, di servizio e comunione. Qui «il Servo di Dio dirigeva il personale, che era composto da persone varie che abitavano nell’ospedale, come un superiore di una comunità religiosa […] Il personale lo amava, lo venerò e ne seguì alla lettera le regole. A ciascuno non è mai mancato il necessario: morale, spirituale e tecnico per il disbrigo dei suoi impegni e questo per la personale preoccupazione del Servo di Dio».
Che proprio la statura spirituale di Zatti ne facesse l’artefice della comunione è persuasione di tutti: «Negli anni in cui sono stato a scuola nel Collegio san Francesco di Sales, l’Ospedale era una dipendenza del Collegio e si sapeva tutto ciò che accadeva qui come là. Non ho mai sentito parlare di liti o incomprensioni tra i collaboratori di Zatti che potessero avere qualche rilievo ed essere causa di pettegolezzi in paese o nella scuola».
La comunione cristiana, quando si realizza, non passa inosservata per la sua bellezza che sconvolge il mondo prostrato dal rancore e dalla divisione; sono solo i santi però a conoscere fino in fondo il prezzo della comunione, la sua estraneità allo spontaneismo, all’immediatezza della simpatia, alla facilità senza sacrificio. I santi sanno quanto costa la comunione perché sanno qual è la sua fonte: il Costato squarciato del Signore, che compie l’opera della riconciliazione tra gli uomini e con gli uomini.
Zatti sa che solo il Sangue del Signore crea comunione, e sceglie la via della partecipazione fedele e quotidiana al sacrificio del Figlio, con il sorriso sul volto, la fortezza nell’animo, la pace nel cuore, le mani trafitte dal lavoro e dalla fatica. Rendendo quasi impercettibile l’impegno richiesto dalla sua immolazione, Zatti «era un uomo che irradiava pace, [uomo] di azione, dinamico, non mostrava nervosismo, allegro. Era frequente una sua battuta […] per rallegrare un malato […]. Era un uomo che non ha vacillato nelle sue pratiche religiose, […] segno del suo sforzo per migliorare sé stesso. Personalmente, ciò che ho notato di più di lui sono state la sua carità e umiltà».
L’umiltà di Zatti costruisce la Chiesa e rende cristiana la comunione della quale egli stesso è artefice; chi non muore ogni giorno a se stesso porta con sé la pesantezza dell’egoismo che ferisce la comunione; solo l’umiltà guarisce le relazioni e vince le lusinghe del potere, del controllo, della seduzione, della prevaricazione. Zatti, senza moltiplicare parole o discorsi, sa che solo con l’umiltà può essere artefice di vera koinonia frutto e condizione di una diakonia efficace e discreta, che non crea dipendenza ma restituisce dignità; solo l’umiltà serve in modo generativo, promuovendo una comunione che cura il legame e promuove l’autonomia. L’umiltà è la virtù di Dio perché è il segreto di ogni padre, la speranza di ogni figlio, lo spirito di ogni vita vera.
Zatti può essere servo e artefice di comunione per l’umiltà che lo rende semplice figlio di Dio, vivo della Vita dello Spirito e padre di tutti: «Penso che nel rapporto di Zatti con i collaboratori non ci siano mai stati problemi perché era come il padre di tutti. Ricordo che a tutti mancava molto quando era assente per essere andato a Roma alla Canonizzazione di Don Bosco»; «il rapporto di don Zatti con l’ospedale era come quello di un padre. Non conosco malintesi o difficoltà: se ci sono state, credo non siano state da parte sua. Dalle infermiere con le quali ho trattato […], non ho sentito altro che lodi e nessuna lamentela».
2.3 Prossimità pasquale e martyria della vita senza fine
Il nostro confratello Artemide Zatti ha realmente testimoniato con la sua vita (martyria) che il Signore è risorto. «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12) dice di sé il Signore. Il Vangelo è Luce che vuole penetrare la vita degli uomini, e Luce per il mondo è la Chiesa, sacramento vivente di Dio. Anche la santità di Zatti, alimentata dalla Pasqua di Gesù, è luce, e ne fanno esperienza soprattutto i poveri e i malati di Viedma. Zatti li accoglie attraverso la porta del servizio, li custodisce tra le mura della comunione ma per offrire loro, con la sua testimonianza di vita, la luce del Vangelo, lo splendore della Pasqua che illumina la Chiesa.
Credenti e non credenti sono folgorati dalle parole e dai gesti di Zatti; la sua testimonianza è senza ombre, straordinariamente salesiana, raggiunge tutti e annuncia, attraverso due nomi, due lineamenti decisivi del Dio di Gesù: Provvidenza e Paradiso.
Non c’è Chiesa dove non c’è annuncio esplicito del nome di Dio, annuncio pagato con il martirio della vita, nel segno del sangue o della carità; dove si spingono il servizio e la comunione di Zatti risuona l’annuncio del nome di Dio, di questi due nomi, tanto cristiani e tanto salesiani: Provvidenza e Paradiso.
Zatti annuncia con la sua vita che tutto in Dio è amore, ma amore concreto, attento, sconfinato e minuto, per ciascuna creatura: l’amore di Dio è Provvidenza. La Provvidenza di Dio però non è a tempo, bensì eterna, ed ecco il secondo nome: Paradiso; Paradiso è il nome proprio del desiderio di Dio che nella storia provvede alle sue creature per averle con sé per sempre, per l’eternità.
Zatti è maestro di questo alfabeto cristiano: «Era suo costante desiderio che il Signore fosse conosciuto e amato. Lo attestava la gioia che esprimeva quando un nuovo paziente, che non sapeva nulla di Dio diventava devoto cristiano. La sua prima sollecitudine era curare premurosamente e ispirare fiducia nella divina Provvidenza».
Il senso della Provvidenza non era la risposta obbligata a condizioni di precarietà, una sorta di ultima spiaggia offerta ai naufraghi per non affondare nei momenti difficili. Testimoniare la Provvidenza per Zatti significava insegnare a parlare con Dio, a chiamarlo per nome, con fiducia cristiana, perché «era molto convinto dei principi evangelici e uno che era ben scolpito nel suo cuore e nella sua mente era “cercare prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33). Aveva imparato alla scuola di Don Bosco – avendo letto molto la sua vita – a non diffidare mai dell’aiuto di Dio, soprattutto quando è onorato come vuole, in ogni nostro prossimo».
Ma una Provvidenza senza Paradiso non consentirebbe all’annuncio del nome di Dio di reggere l’urto della storia, con il suo carico di fatica, sofferenza, morte. Zatti animava, dentro e fuori l’ospedale, una Chiesa sempre visitata dal dolore e dalla morte, e questo chiedeva pienezza di fede e di testimonianza, chiedeva di annunciare il nome dell’unico desiderio di Dio per l’uomo: Paradiso. Quando testimoniava il Paradiso Zatti mostrava la certezza «della vita eterna e della sua acquisizione per grazia e buone opere; questo manifestava soprattutto di fronte alla morte […]. L’ho ascoltato personalmente gioire per aver potuto prestare aiuto religioso ai malati ed esclamare […] “Oggi ne abbiamo mandati due o tre in cielo”».
Con questi due nomi di Dio Zatti ha evangelizzato la vita e la morte, la gioia e il dolore, la salute e la malattia da vero testimone cristiano, da martire, nel martirio quotidiano della carità. L’annuncio e la martyria di Zatti non divulgano un vangelo di circostanza o di opportunità, ma diffondono Sale, Luce, Lievito, prestano volto, cuore e mani a un Vangelo che chiede la vita e tutta la pervade, scioglie gli enigmi e vince l’angoscia con il calore della Verità: «Da quando l’ho conosciuto, ha sempre dato più importanza alle pratiche religiose che al suo lavoro, sebbene lo facesse con perseveranza. Citava spesso le Scritture, soprattutto i vangeli, per consolare i malati o incoraggiare la virtù […]. Era molto difficile per lui non mettere un pensiero spirituale nelle sue conversazioni. Una volta, parlando con lui, accennavo alla scoperta di alcune nuove medicine come la penicillina e i sulfamidici; il Servo di Dio mi ha ascoltato e, quando ho finito di parlare, mi ha detto: “È vero, è vero, ma la gente continuerà comunque a morire”».
E la verità del vangelo, tutta intera, illumina l’ospedale di Zatti, come aveva illuminato l’Oratorio al tempo di Don Bosco: per questo nell’ospedale di Viedma come tra le mura di Valdocco, non si teme la morte e non si moltiplicano gli espedienti per addolcirne lo scandalo o nasconderne l’evidenza, inganni pericolosi per il cuore umano. Zatti affrontava la morte con la testimonianza del Vangelo della vita: una vita con i piedi per terra, per questo operosa e concreta, ma con il cuore in cielo, e per questo fiduciosa e serena: «L’unico motivo della sua vita è stato proprio l’attesa di un premio celeste, non ha mai agito per guadagnare denaro o reputazione, ha fatto tutto nella speranza della felicità futura».
Il suo impegno è stato, pur nella semplicità, quello di vivere il Vangelo con il cuore radicato nel Premio finale è portare il Dio della Provvidenza e del Paradiso dentro ogni piaga e ogni morte umana, perché vi fioriscano Vita e Resurrezione. Questo rendeva benedetta la testimonianza di Zatti e ne invocava la presenza quando indispensabili erano le medicine preziose e rare della speranza e della consolazione. Tutta la città di Viedma lo sapeva, come hanno confermato con sorprendente unanimità i testimoni: si chiamava sempre Zatti, e lui accorreva a rincuorare e consolare, donando questa medicina cristiana che attingeva, per la sua vita in Grazia di Dio, dallo Spirito stesso, il Consolatore. Così diventava «straordinaria nel Servo di Dio la capacità di infondere speranza negli infermi, fatto che contribuiva quasi miracolosamente alla guarigione sollevando l’animo del sofferente». Zatti testimonia, fino al martirio della carità, che il Signore è Dio del cielo e della terra. Zatti ne è testimone, con la passione dei santi, che non conosce misura: «Ricordo che un paziente disse a Zatti che lo preparava sempre al cielo e che doveva prepararlo un po’ per la terra. Un altro fatto mostra l’atmosfera dell’Ospedale: un’infermiera, una volta, insistette per preparare alla morte un paziente che non stava così male e che in effetti è ancora vivo».
2.4 Gioia pasquale e liturgia della vita redenta
Artemide Zatti, con la sua fedeltà straordinaria agli appuntamenti centrali della vita cristiana, si nutre del Pane della Parola, del Pane del Perdono, del Pane del Cielo, e la sua vita si trasfigura, sempre più profondamente, a beneficio di una missione ricca di frutti crescenti. Così, la vita di Grazia, intensamente vissuta da questo figlio di Don Bosco, raggiunge quanti lo incontrano, indistintamente: malati e collaboratori, confratelli e autorità, poveri e benefattori, in Zatti toccano la vita del Signore, per la forza del mistero sacramentale che si partecipa tra le persone nella comunione del popolo di Dio. E così la Chiesa tutta, nei sacramenti, per la potenza dello Spirito Santo, celebra il mistero Pasquale e assicura agli uomini il nutrimento per il cammino e i rimedi che guariscono le ferite del male e della morte.
Questa è la Chiesa: fiorisce e cresce dove il servizio e la comunione annunciano il nome di Dio, testimoniano la Parola di Gesù, sono nutriti dal suo Corpo, guariti dal suo Perdono. Zatti non semplicemente fa tutto questo, ma è tutto questo; per la corrispondenza alla Grazia, che rende santa la sua vita, in lui si riconoscono non solo i gesti e le parole del Signore, ma si fa esperienza della Sua stessa Vita: Zatti è un “tabernacolo vivente”, e la sua testimonianza irradiante suscita domande, propositi, conversione, anche in chi è lontano da una partecipazione intima al mistero del Signore.
La dedizione di Zatti, rivelando una radice più che umana, diventa una prova, universalmente convincente, della forza soprannaturale dei sacramenti; il suo, infatti, è «un amore soprannaturale e straordinario per il prossimo. […] Era disposto a qualsiasi sacrificio ed è per questo che in lui il difficile sembrava facile. Penso che le circostanze ardue della sua azione caritativa siano state: la carenza di personale, la richiesta di assistenza in ogni momento, non farsi condizionare dalle intemperie, servire ogni tipo di persone. Ricordo di un mio parente, ammalato, cui venne a far visita in una giornata di pessimo tempo e quando gli fu detto: “Con questo tempo esce, signor Zatti?”, lui rispose: “Non ne ho un altro!”».
È una regola della liturgia cristiana saper dare buona prova di sé nella vita del credente con l’ordine, l’armonia, il dinamismo efficace, e soprannaturale. Zatti è un cristiano, un consacrato laico salesiano di Don Bosco, è una pietra viva della chiesa, è un testimone della Pasqua, perché nelle sue opere diviene visibile il comandamento dell’Amore, che fa riconoscere Dio nel prossimo e il prossimo in Dio; ma Zatti insegna, con la sua vita, che la forza necessaria alla pratica di quel comandamento è soprannaturale, e può venire solo da Dio, dai suoi sacramenti e della preghiera e unione con Lui. «Zatti esercitò la carità in circostanze difficili per la carenza di risorse economiche. Anche perché la sua attività eccedeva l’ordinario, per la quantità di ore che dedicava ai suoi impegni senza omettere i suoi obblighi religiosi. Per come lo conoscevamo ci chiedevamo come potesse sostenere uno sforzo così grande senza il riposo che solitamente si considera necessario».
Due episodi meritano di essere ricordati, a esempio della liturgia della vita per la quale Zatti è prima discepolo e poi apostolo del Signore Crocifisso e Risorto; anzitutto la demolizione del vecchio ospedale San José, con la necessità di trasferire i malati a Sant’Isidro: «Non ho notizie che a Zatti sia stata comunicata una data di sfratto, e di certo non aveva ricevuto nulla dal suo Ispettore, altrimenti l’avrei saputo […]. Lo stato emotivo in cui è caduto Zatti quando è stato necessario rimuovere i malati, perché le macerie non crollassero su di loro, poteva essere psicologicamente fatale. Pianse amaramente, ma dopo aver pregato davanti al Santissimo, si mise al lavoro con serena energia»; e poi il servizio ai morenti: «Stava per morire un giovanotto, e Zatti conversava con lui dopo avergli fatto fare la comunione; a un certo punto il ragazzo cominciò a gridare “Zatti, io muoio!” e nello stesso momento si sollevava dal letto; Zatti, guardandolo negli occhi, sorridendo gli disse: “Che bello, vai in paradiso!” e il giovane si lasciò cadere con un sorriso che ritraeva quello di Zatti, e che gli rimase impresso sul volto».
Ecco cosa accade quando l’Eucarestia diventa vita e il Mistero pasquale pratica quotidiana: le grandezze umane si trasformano, per la potenza dello Spirito, e ogni azione di un credente si compie in Cristo, per Cristo e con Cristo, rendendo la vita una liturgia e trasfondendo i doni santi della liturgia nella vita.
Il nostro caro Artemide Zatti, debitore in tutto dei Misteri del Signore, sa che tutto può solo grazie a Lui; di qui la sua umiltà: «Ricordo che, essendo molto malato di febbre tifoidea mio fratello Salvador, il Servo di Dio lo andava a curare più volte al giorno. In una occasione, incontrandomi con lui che si dirigeva alla casa di Salvador, afflitto gli dissi: “Signor Zatti, per favore, salvi mio fratello!”. Egli voltandosi e fissandomi negli occhi, con severità mi disse: “Non sia blasfemo, solo Dio salva!”».
Quella di Artemide Zatti è stata una vita fatta di donazione, comunione, testimonianza del Signore risorto. Una vita piena di grazie che l’ha portato ad una morte pienamente cristiana: «Chiedendogli se i suoi dolori fossero continui, forti o no, senza rispondere direttamente mi disse: “Sono un mezzo di purificazione e sono contento perché mi rendo conto che sto completando la Passione di Cristo, cosa che ho tanto inculcato negli infermi”».
E l’offerta di Zatti fu piena, discreta, serena e gioiosa, come sigillo della sua liturgia. Merita di essere ripreso un fioretto, nel quale, dietro il velo della simpatia, Zatti regala a chi lo assiste il senso della sua vita, che Dio ha potuto spremere fino in fondo, perché matura e piena. Pochi mesi prima della morte, sorridendo della sua malattia – un tumore al fegato che ingiallisce il volto – Zatti dice a un’infermiera che sarà presto colorato, anche lui, con il trucco! Il suo sarà però, come nei limoni, il colore della maturità, che rende quel frutto pronto per essere spremuto, fino in fondo: «Voi vi truccate? Anche io! Entro sei mesi vi darò la dimostrazione. Il limone non serve se non è giallo».
3. UN INVITO AD UN IMPEGNO STRAORDINARIO
Questo era il titolo dell’ultima parte della lettera di don Vecchi, a cui ho fatto riferimento più volte, e che vorrei conservare e condividere ora. Nelle pagine precedenti ho cercato di delineare in modo semplice ma incisivo la straordinaria figura del nostro confratello salesiano coadiutore Artemide Zatti. Il suo percorso di vita, impregnato e riempito di Dio, è lampante, così come la sua santità. Davanti a questa grande figura, nella nostra Congregazione si accende la coscienza più viva della necessità e dell’importanza di uno speciale impegno per promuovere oggi questa bella vocazione. Faccio mie le parole di don Vecchi per chiedere ad ogni Ispettoria, ad ogni comunità, e a ciascun confratello nei prossimi anni, fin da ora, «un impegno rinnovato, straordinario e specifico per la vocazione del salesiano coadiutore, all’interno della pastorale vocazionale, nel pregare per essa, nell’annunciarla e proporla, nel chiamare, nell’accogliere e accompagnare, nel viverla personalmente e insieme nella comunità». Non mancano ricche pubblicazioni sulla figura del salesiano coadiutore; forse ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento è rendere il nostro impegno più convincente. Ho ricordato spesso nelle mie visite alle ispettorie e anche nelle mie lettere che dobbiamo essere prima di tutto uomini di fede, oggi più che mai abbandonati al Signore. Molte altre strategie e piani possono aiutarci, ma ci faranno uscire da una difficoltà profonda solo la fiducia nel Signore e il ricorso a Lui. La seguente testimonianza di un confratello coadiutore ha, a mio avviso, una forza particolare: «Anche oggi risuona il “Vieni e seguimi”. Ed è sempre uno stupore constatare che anche oggi ci sono giovani a cui nulla mancherebbe per orientarsi verso il sacerdozio e invece fanno la scelta del laico consacrato anche nella Congregazione Salesiana. Perciò nella pastorale vocazionale bisogna credere in questa vocazione .in sé completa e trasmetterne per osmosi la stima, senza operare forzature e distorsioni in direzione della figura clericale. Bisogna essere convinti che ci sono giovani che non si identificano nel modello presbiterale, mentre si sentono attratti dal modello del laico consacrato. Quali i motivi di questa scelta? Tutte le motivazioni sono insufficienti: al fondo resta il mistero della Grazia e della libertà».
A questo punto vorrei invitarvi ad approfondire le prossime pubblicazioni che usciranno sia su Sant’Artemide Zatti che sulla vocazione del coadiutore salesiano nella nostra Congregazione, nelle varie Regioni, e nelle proposte di entrambi i Settori della Pastorale Giovanile e della Formazione. Non mancheranno gli stimoli, le riflessioni, e soprattutto i doni di intercessione del nuovo santo, in modo particolare per i suoi confratelli salesiani coadiutori nel mondo, per quelli che già ci sono e per quelli che verranno con la Grazia di Dio.
La forza e la bellezza di un invito
Credo che non si possa terminare il confronto con la vita di Artemide Zatti senza evocare, ancora una volta, una lettera del 1986, del cardinale Jorge Mario Bergoglio, oggi Papa Francesco, scritta a un salesiano, a testimonianza di una grazia ricevuta per intercessione di Zatti.
La vicenda è nota: quand’era Provinciale dei Gesuiti dell’Argentina, padre Bergoglio affidò a Zatti la richiesta al Signore di sante vocazioni alla vita consacrata laicale per la Compagnia di Gesù e la sua Provincia ebbe la grazia, in un decennio, di ventitré nuove vocazioni di religiosi fratelli.
L’episodio è rilevante non solo per i protagonisti della vicenda – il Padrone della Messe, un Santo coadiutore salesiano, l’attuale Successore di Pietro – ma per il suo contenuto: la forza vocazionale della testimonianza di Zatti.
Stupisce che il primo salesiano canonizzato non per il martirio del sangue sia un coadiutore, e un coadiutore che rinuncia, in radicale obbedienza a Dio, alla stessa forma della vocazione dalla quale era stato affascinato, quella presbiterale, per stare con Don Bosco, svolgendo poi un servizio sacrificato nel mondo della malattia e della sofferenza.
Non può sfuggire però la forte bellezza di questa testimonianza; in lui brillano gli amori fondamentali che devono infiammare il cuore del Salesiano: l’amore per Dio e per la sua volontà, l’amore per il prossimo, che nelle sue membra sofferenti è il Volto vicino di Gesù Crocifisso, l’amore alla Madre del Signore, Mediatrice di ogni grazia, l’amore a Don Bosco che ad ogni salesiano promette pane, lavoro e Paradiso.
Questi amori brillano nella luminosa grandezza della vita religiosa di Artemide, abbracciata con gioiosa radicalità e intraprendenza generosa.
Il nostro confratello Artemide Zatti ci mostra quanto il mondo sia sensibile alla testimonianza della vita religiosa, purché tale testimonianza sia vera, credibile, autentica: il trionfo dei suoi funerali, la fama di santità, la venerazione della sua tomba sono segni chiari di quanto tutti abbiano riconosciuto il dito di Dio in azione in questo salesiano generoso e fedele: «in proporzione agli abitanti di Viedma fu impressionante la quantità di gente che accorse ai funerali. Da ogni dove accorreva gente umile con piccoli mazzi di fiori. Oltre alle autorità molte altre persone. Nei giorni [successivi alla morte] le persone, erano convinte che fosse morto un santo; alcuni si recavano alla tomba sperando miracoli: pregavano, portavano fiori».
La vita di Artemide Zatti ha svegliato una città, e oggi tocca l’intero mondo, perché ha parlato di Dio: ha portato tra i poveri e i malati, con una pratica esemplare della castità, il profumo dell’amore verginale e fecondo di Dio; ha donato a tutti la ricchezza della fede, pagandola con una povertà amata fino a cedere la propria camera a un infermo o a portarvi un morto per sottrarlo alla vista degli altri malati in un ultimo gesto di tenerezza e pietà; ha insegnato la libertà vera, obbedendo a prezzo di lacrime amare alla volontà dei superiori riconoscendoli mediatori del disegno di Dio.
Religioso esemplare, con questa testimonianza, insegna a tutti che la salute da custodire sopra ogni bene è quella dell’anima, di quella nostra anima tanto preziosa perché da Dio viene e a Lui aspira, spesso inconsapevolmente, nel desiderio di trovare, tra le sue braccia, Amore eterno.
Possano gli amori di Zatti accendere i nostri amori; possano la sua testimonianza dell’Assoluto di Dio, della grandezza dell’anima e della nostra vera Patria ispirare i nostri gesti e la nostra passione pastorale, per una nuova fedeltà apostolica e rinnovata fecondità vocazionale. Che non ci manchi mai, come ha sempre cercato Artemide Zatti, la protezione materna dell’Ausiliatrice, e che la devozione alla Madre in ogni casa salesiana del mondo, e in ogni angolo dove è presente la Famiglia di Don Bosco, sia una strada sicura che ci aiuti a vivere una santità come quella del nostro confratello.
Concludo queste parole proponendo una preghiera al Padre per intercessione del nuovo santo coadiutore salesiano, sant’Artemide Zatti.
Preghiera di intercessione
per chiedere vocazioni di salesiani laici
O Dio, che in sant’Artemide Zatti
ci hai dato un modello di salesiano coadiutore,
che docile alla tua chiamata,
con la compassione del Buon samaritano,
si è fatto prossimo a ogni uomo,
aiutaci a riconoscere il dono di questa vocazione,
che testimonia al mondo la bellezza della vita consacrata.
Donaci il coraggio di proporre ai giovani
questa forma di vita evangelica
al servizio dei piccoli e dei poveri,
e fa’ che coloro che tu chiami per questa via,
rispondano generosamente al tuo invito.
Te lo chiediamo per l’intercessione di Sant’Artemide Zatti
e per la mediazione di Cristo Signore.
Amen.
Con vero affetto e uniti nel Signore con la mutua preghiera vi saluto
Ángel Fernández Artime, sdb
Rettor Maggiore