La canzone di cui parlerò oggi è “Cellulare e carta sim” di Simone Cristicchi, un cantautore, scrittore e attore teatrale italiano, vincitore del Festival di Sanremo nel 2007 con il brano “Ti regalerò una rosa”. “Cellulare e carta sim” è la sesta canzone del primo album in studio “Fabbricante di canzoni (Edizione Sanremo 2006)” ma anche dell’ultimo album “Abbi cura di me”, il quale raggruppa tutte le più belle e memorabili canzoni di tutti i suoi precedenti album. “Cellulare e carta sim” è letteralmente una lettera d’amore raccontato figurativamente dal punto di vista di un classico e vecchio cellulare a tasti –per certi versi obsoleto, rispetto ai nuovi modelli del 2006 – che si dichiara alla sua carta sim dalla quale fu strappato via. Non voglio giungere a conclusioni o influenzarvi con il mio parere, ma trovo il tutto più che geniale, ma analizzando il testo di questo fantastico brano ce ne renderemo meglio conto.
Il brano è diviso in due strofe, ritornello, ancora una strofa, ritornello, lo special e un ritornello finale modificato in funzione di un lieto fine della storia. La melodia delle strofe è molto dolce, semplice, quasi giocosa, ma si può notare un crescendo di intensità nel mezzo di queste strofe, e nelle prime due si può riscontrare il rammarico, la tristezza, ma anche una sorta di frustrazione nella spiegazione di come la sua amorevole carta sim sia stata staccata da lui (“E dalla mia carta sim qualcuno mi ha staccato”), preceduta dai tanti bei ricordi (“Mi ricordo quando funzionavo, le telefonate, gli sms che ho inviato”) e dal nuovo “modello accessoriato” che lo ha portato ad invecchiare solo (“Sono un cellulare un po’ invecchiato, chiuso in un cassetto, solo con lo schermo un po’ graffiato e il caricatore rotto”), nel cassetto che chiama “paradiso dei vecchi cellulari”.
Così, dopo queste emozioni contrastanti, esordisce un ritornello struggente in cui Simone Cristicchi egregiamente canta “E mi manca tanto quel tuo nome nella rubrica e mi fa compagnia la mia tastiera sbiadita”, sottolineando la crudeltà dello strappo dalla carta sim e la solitudine di questo cassetto, già percepiti nelle strofe antecedenti; tuttavia, il cellulare non si arrende nel mandare qualche segnale malgrado la sua batteria, che a tutti gli effetti equivale alla sua energia o alla sua vita, non sia molta (“Con queste ultime due tacche di vita io”) e non ci sia campo (“Provo a mandarti un segnale anche se qui prendo male”).
Si passa quindi alla terza ed ultima strofa, dove inaspettatamente i toni sono molto più pacati e meno rancorosi rispetto alle prime due strofe e dove si concentra di più nell’esprimere le sue sensazioni di quando “cellulare e carta sim” stessero insieme. Ricorda con nostalgia la bellezza di avere la carta sim dentro di lui (“Stavo bene quando ti infilavi dentro la mia pancia”) e paragona il calore del suo corpo metallico a quello della voce e dei corpi umani che il cellulare ha vissuto in maniera diretta (“Calda come il suono di una voce e della sua guancia”), un vero e proprio matrimonio, come dice la canzone (“Sempre indivisibili eravamo: cellulare e carta SIM uniti in matrimonio”). Segue nuovamente il ritornello che adesso ha una sfumatura diversa per l’ascoltatore, il quale è ora a conoscenza dei retroscena e del significato di questa unione tra questi due oggetti d’ogni giorno.
D’altra parte la speranza è l’ultima a morire e nulla è mai del tutto perduto; così lo special della canzone, spezza l’equilibrio di quanto detto finora. Quest’ultima, infatti, cambia direzione verso un finale inaspettato, poiché racconta di come un giorno il vecchio telefonino si senta afferrare dal padrone per essere riparato (“All’improvviso mi sento afferrare, è il mio padrone, mi vuole aggiustare”), e adesso ha nuova vita e la possibilità di tornare di nuovo in funzione (“Pochi minuti e ritornerò a vivere”). Noi ascoltatori non conosciamo il perché di questa riparazione ma d’altronde non importa: qualsivoglia sia il motivo, il cellulare non vede l’ora di tornare dalla sua carta sim e nient’altro è più importante di questo.
L’ultimo ritornello è il fulcro di tutto, il motivo per vivere e sopravvivere a tutti gli inconvenienti della vita, è la vita stessa per il cellulare quando congiunto ora alla carta sim (“Solo se stiamo insieme diamo un senso alla vita”), entusiasta di ritrovare i numeri in rubrica (“E lampeggia innamorato il tuo nome in rubrica”) e tutte le tacche di batteria, che utilizzerà come era solito fare nei suoi ricordi (“Io vibrerò di emozione e suonerò una canzone”), alla fine dei conti è quello per cui sono ideati, progettati e principalmente utilizzati.
Il modo di vivere e di sentirsi vivi di un cellulare è proprio vibrare e suonare ma è impossibile senza un motivo per cui farlo, senza il tramite, ossia la carta sim. Questa è un’enorme impersonificazione di una persona che ha bisogno dell’altro per vivere, di una persona che ripudia la solitudine totale, di una persona che è conscia della necessità votare di avere qualcuno che lo completi, un po’ come un puzzle o come un cruciverba pieno di momenti di vita; poiché da soli si può far poco, ma in due si è invincibili.
Pillole di Fede: Qoelet: 4,9-12. «Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. Infatti, se vengono a cadere, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto»
1 Gv 4,16: «Dio è amore; e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui».
Luca Pietro Milazzo – Marsala (Italia)/Mielec (Polonia)