«Che cosa chiedo agli anziani, tra i quali annovero anche me stesso?Chiedo che siamo custodi della memoria. […] Immagino gli anziani come il coro permanente di un importante santuario spirituale, in cui le preghiere di supplica e i canti di lode sostengono l’intera comunità che lavora e lotta nel campo della vita»[1]. È bello che «i giovani e le ragazze, i vecchi insieme ai bambini, lodino il nome del Signore» (Sal148,12-13).
Che cosa possiamo dare ai giovani noi anziani?«Ai giovani di oggi che vivono la loro miscela di ambizioni eroiche e di insicurezze, possiamo ricordare che una vita senza amore è una vita sterile». Cosa possiamo dire loro?«Ai giovani timorosi possiamo dire che l’ansia per il futuro può essere superata». Cosa possiamo insegnare loro?«Ai giovani eccessivamente preoccupati di sé stessi possiamo insegnare che si sperimenta una gioia più grande nel dare che nel ricevere, e che l’amore non si dimostra solo con le parole, ma anche con le opere» (p.13).
L’amore che si dà e che opera, tante volte sbaglia. Colui che agisce, che rischia, spesso commette errori. A questo proposito, può risultare interessante la testimonianza di Maria Gabriela Perin, orfana di padre dalla nascita, che riflette sul modo in cui questo ha influenzato la sua vita, in una relazione che non è durata ma che ha fatto di lei una madre e ora una nonna: «Quello che so è che Dio crea storie. Nel suo genio e nella sua misericordia, Egli prende i nostri trionfi e fallimenti e tesse bellissimi arazzi pieni di ironia. Il rovescio del tessuto può sembrare disordinato con i suoi fili aggrovigliati – gli avvenimenti della nostra vita – e forse è quel lato che non ci lascia in pace quando abbiamo dei dubbi. Tuttavia, il lato buono dell’arazzo mostra una storia magnifica, e questo è il lato che vede Dio» (pp. 162-163).
[…] Se camminiamo insieme, giovani e anziani, potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione,frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri, riscaldare i cuori, ispirare le nostre menti con la luce del Vangelo e dare nuova forza alle nostre mani.
Le radici non sono ancore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di radicamento che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide. Quindi, non serve neanche «che ci sediamo a ricordare con nostalgia i tempi passati; dobbiamo prenderci a cuore la nostra cultura con realismo e amore e riempirla di Vangelo. Siamo inviati oggi ad annunciare la Buona Novella di Gesù ai tempi nuovi. Dobbiamo amare il nostro tempo con le sue possibilità e i suoi rischi, con le sue gioie e i suoi dolori, con le sue ricchezze e i suoi limiti, con i suoi successi e i suoi errori»[2].
Nel Sinodo uno degli uditori, un giovane delle Isole Samoa, ha detto che la Chiesa è una canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là. […] saliamo tutti sulla stessa canoae insieme cerchiamo un mondo migliore, sotto l’impulso sempre nuovo dello Spirito Santo.
[1]A. Spadaro (ed.), La saggezza del tempo. In dialogo con Papa Francesco sulle grandi questioni della vita, Venezia, Marsilio 2018, p.12.
[2]E. Pironio, Messaggio ai giovani argentini nell’incontro nazionale giovanile a Cordoba(12-15 settembre 1985), 2.