“Non è andare, è fare, è stare” forse così si potrebbe riassumere ciò che l’esperienza missionaria a Casa Santa Chiara ha lasciato nelle più ampie sfumature dentro ognuno di noi.
Ogni persona, ogni cristiano è chiamato ad essere missionario, lo è nel portare amore, l’Amore di Cristo esattamente lì dove si trova. Un “andare” però c’è, non nella scelta (o almeno non solo) di partire per luoghi lontani, ma nella decisione di ognuno di “muoversi” in direzione di altro, dell’altro. È uscire fuori da sé, spostare l’io dal centro, è mettere completamente se stessi a disposizione, è donarsi completamente, aprire il cuore.
Siamo arrivati a Santa Chiara, nel quartiere di Ballarò il 24 luglio, pronti, o quasi, a vivere un’esperienza che ci avrebbe trattenuti lì per dodici giorni.
Ballarò e Santa Chiara ci hanno sin da subito accolti e travolti. Perché sì, una realtà come quella ti avvolge, stravolge e assorbe. Ti viene spontaneo osservare come ragazzi, volontari, animatori, come chiunque passi per quelle mura viva e percepisca quel luogo. È come se ogni singola persona fosse un pilastro che sorregge la struttura, come il tassello immancabile di un mosaico… come un insieme che dice “casa”. E questo risuona forte vivendo Santa Chiara…è casa che accoglie. Una porta spalancata che accoglie il mondo.
Per conoscere ed “entrare dentro” la realtà che avremmo vissuto per quei giorni ci sono molto serviti da fonte e sostegno i momenti di formazione che al campo abbiamo vissuto: conoscere le associazioni che come una rete, come mani che si tendono le une alle altre, lavorano insieme per far emergere quanta e quale bellezza Ballarò e la sua gente possa in realtà regalare, per far fiorire possibilità. Era un modo per farla risaltare ai nostri stessi occhi e per poi poterla riscontrare in ciò che quotidianamente nei pomeriggi e nelle sere in oratorio vivevamo, a contatto con la sua gente che ci ha accolto con cuore aperto. È stato come un “amalgamarsi”. Ci hanno regalato nuove prospettive e genuinità. Ci hanno donato un vivere quel luogo in semplicità.
L’esperienza al campo ha rigenerato, riaperto modalità, possibilità, riacceso “perché”, toccato le corde giuste… cosa in particolare ha fatto questo? Ogni singola cosa vissuta. Iniziare la giornata incontrando per primo il Signore nella Sua Parola e nell’ Eucaristia, condividere quotidiani momenti tra noi campisti, riscoprire storie di vite spese letteralmente per Amore, come quella di Padre Pino Puglisi, conoscere l’opera missionaria di Biagio Conte, scoprendo la bellezza della vocazione e di cosa il Signore possa compiere se noi rispondiamo ad essa, un qualcosa che in realtà con il passare dei giorni notavamo sempre più in chi a Santa Chiara opera ogni giorno. Non era difficile infatti, immaginare don Bosco operare lì.
Nella preparazione e organizzazione delle attività in oratorio, nell’attesa e accoglienza dei bambini e dei ragazzi, nell’incontro con loro, nei momenti di preghiera, nei momenti di gioco e formazione nell’attenzione verso il gruppo degli animatori, nel cercare insieme il bene per i ragazzi, nello “stare” “in mezzo”, tra la gente. C’è lo spendersi per l’altro, per i ragazzi, per i giovani.
C’è dare la propria vita, un sì, a Dio, a loro.
Grazia Sinagra