(ANS – Catania) – Compirà 100 anni nel prossimo maggio e alla sua veneranda età, ancora lucidissimo, svolge l’incarico di Delegato per gli Exallievi dell’Unione di Salette-San Cristoforo, a Catania: lui è don Rodolfo di Mauro, Salesiano dal 1938, sacerdote da oltre 70 anni e con un bagaglio di ricordi incredibile, legato soprattutto alla casa salesiana “Salette” di Catania.
Seduto in poltrona, nell’anticamera di uno studiolo dell’Istituto salesiano di Santa Maria della Salette a San Cristoforo, don di Mauro, estrae dalla tasca lo smartphone, e fa scorrere con naturalezza alcune immagini. Ha appena finito di concelebrare col parroco la messa pomeridiana davanti a una decina di fedeli. Tra le infinite cose da raccontare su generazioni di ragazzi, il discorso scivola inevitabilmente su quelli divenuti famosi come criminali. I mafiosi del quartiere San Cristoforo li ha conosciuti tutti, ne sa ricostruire la genealogia, gli atti, gli arresti, le condanne. “Mandavano i figli da noi sperando di sottrarli al loro mondo, ma ha prevalso la scuola del rubare… Mi rispettavano, hanno preso anche schiaffi, ma senza lamentarsi coi genitori, per paura di prenderne altri… Io ho sempre applicato la regola di Don Bosco: fatti amare se vuoi essere ubbidito, per il resto lascia fare, a patto che non si tratti di peccati mortali”.
In un quartiere come quello, per ottenere il rispetto bisognava non farsi intimidire. “Una volta un tale mi minacciò – racconta –: ‘se non fosse per quel collare bianco che porta…’. Me lo tolsi subito e replicai: ‘a disposizione…’”.
Don Rodolfo ha accudito tante esistenze in bilico: alcune volte la logica distorta della criminalità ha avuto la meglio, ma nella maggior parte dei casi l’insegnamento di Don Bosco ha avuto successo. Come nel caso di un nipote di un capo-clan mafioso che oggi studia da prete a Messina. E poi con tante biografie esemplari: docenti universitari, medici, ingegneri, attori, tipografi come Salvatore Caliò, Presidente dell’Unione Exallievi, che si occupa di assistenza sociale e che ha istituito il premio “Quartiere Vivo” assegnato, in vista dei cento anni, anche a don Rodolfo.
“Noi abbiamo contribuito all’elevazione morale e sociale di molti ragazzi, il problema è che, raggiunto il traguardo, lasciano il quartiere” spiega con un po’ d’amarezza.
L’oratorio e la parrocchia somigliano a un’oasi intorno a cui fervono traffici leciti e illeciti, ma nel cortile il candore dei volti dei ragazzi e delle ragazze, gli allegri schiamazzi, le pallonate, qualche madre che qui è cresciuta e accompagna i figli, l’interruzione per la preghiera, danno un senso di pace, di tregua, di speranza. Eppure non si può ignorare che giovani nelle strade adiacenti spacciano. Ognuno di loro è una pena, una sconfitta per i Salesiani e lo Stato.
Don di Mauro scandisce la sua biografia legandola ai grandi eventi di un secolo di storia. Nacque il 18 maggio 1918, durante la Grande Guerra, a Militello Val di Catania, dove il padre scalpellino catanese lavorava alla costruzione dei ponti della ferrovia tra Catania e Caltagirone. Durante il fascismo fu iscritto ai balilla e poi tra gli avanguardisti. La crisi del ‘29 lo costrinse a sospendere gli studi, ripresi grazie a un fratello Carabiniere, che lo mantenne nell’Istituto Salesiano di Pedara. Il liceo e il noviziato lo fece a San Gregorio. Conseguita l’abilitazione magistrale insegnò a Marsala, dove, durante la Seconda Guerra Mondiale, si salvò per caso da un bombardamento che uccise tre confratelli e alcuni ragazzi.
Alla Salette, di cui divenne parroco nel ‘68, don Di Mauro è arrivato nel 1947. Fondò l’oratorio con don Casales, che creò la banda musicale, e con don Bonomo che si occupava dei figli dei “fumirari”, i raccoglitori di sterco venduto per concimare i campi. Allora regnava la miseria ma c’erano anche volontà di fare e tante attività produttive, fabbriche, operai, fabbri, falegnami… Il lavoro offriva la possibilità di riscatto da povertà ed emarginazione, persino i “fumirari” divennero spazzini comunali. “Sfamavamo ottocento ragazzi. Si cucinava in un pentolone in cui si rimescolava con un bastone”. I ragazzi, aggiunge, erano “affamati, ma non abbandonati, come è avvenuto dopo la legge sul divorzio, con i tanti ragazzi che ci venivano affidati dai Tribunali”.
Nel secondo dopo-guerra San Cristoforo era luogo di scontro coi militanti del Partito Comunista. “Mentre noi facevamo le scuole serali, nei loro comizi proclamavano che ci avrebbero cacciati per trasformare l’oratorio in una casa del popolo. Minacciavano di impiccare a un lampione il parroco degli Angeli Custodi, Santo d’Arrigo. Anch’io, militante dei comitati civici di Luigi Gedda, facevo comizi contro l’astensionismo”. Tempi lontani, ad ogni modo: “Ora non ci occupiamo più di politica, ed è un bene”.
Alla soglia dei 100 anni, don di Mauro può essere solo grato a Dio. “Devo ringraziare il Signore per ciò che ho fatto, sono passato dai lumi a petrolio all’era digitale. A Militello la prima radio l’ascoltavamo a casa di due maestre signorine. Poiché era grande come un armadio, un contadino controllò se dietro non ci fosse qualcuno che parlava”.
Tra le leggende della sua vita si racconta che si è ammalato una sola volta, nel 1945. Racconta: “dovendo due Salesiani andare uno a Mirabella e l’altro a Grammichele, il direttore di Pedara mi propose di approfittarne per visitare la famiglia. Partimmo con un triciclo motorizzato con le sedie sul cassone. Mi venne la febbre a 40. Quando ripassarono non potei seguirli. Sospettarono che fingessi per restare in famiglia. La malattia mi durò 15 giorni, poi mio cognato, che aveva una grossa moto, mi accompagnò. Da allora ho avuto solo qualche raffreddore. Non so cosa sia il mal di testa”.
Quanto al futuro, si limita a dire: “Ogni giorno che passa è un giorno in più”. E conclude: “Io alla Salette ho dato e ricevuto molto, e soprattutto ho imparato a non avere paura di niente, neanche della morte”.
Fonte ANS